La Germania sta valutando l’idea di adottare una legge che imponga alle grandi aziende di rivelare le loro filiere produttive, con l’obiettivo di garantire una maggiore protezione dei lavoratori e dell’ambiente.1Al momento, le violazioni dei diritti umani fondamentali nelle catene di valore e di approvvigionamento aziendali sono molto diffuse. Gli esempi non mancano: I fornitori di Boohoo sfruttavano gli operai di una fabbrica di abbigliamento,2 Ikea utilizzava legno ucraino proveniente da foreste protette per la costruzione dei propri mobili;3 e Nanchang O-Film Tech, fornitore di Apple, avrebbe fatto ricorso al lavoro forzato.4
“Lo sfruttamento degli esseri umani e della natura e il lavoro minorile non devono diventare la base della nostra economia globale e della nostra prosperità”, ha affermato Gerd Müller, ministro tedesco della cooperazione economica e dello sviluppo. “Finirebbe per avere un effetto boomerang e ritorcersi contro di noi. Il nostro modello socioeconomico può essere un modello per l’economia mondiale”.
Finora il governo tedesco si è affidato a un sistema di autoregolamentazione, ossia sull’adesione volontaria delle imprese agli standard ecologici e sociali lungo le catene di approvvigionamento. Ma in un sondaggio che ha coinvolto 2.250 aziende, solo 455 sono state in grado di fornire risposte adeguate,5chiara dimostrazione che il sistema non funziona. La nuova legge proposta prevede un intervento diretto del governo a difesa dei diritti umani nelle filiere produttive globali e attua i Principi guida per le imprese e i diritti umani adottati nel 2011 dalle Nazioni Unite.
Che impatto avrà secondo voi la nuova legislazione tedesca?
Un maggiore controllo delle filiere produttive rappresenta un importante passo avanti verso la fine dello sfruttamento endemico dei lavoratori vulnerabili e del degrado nascosto dell’ambiente. Per le società dotate di catene di approvvigionamento complesse non sarà facile monitorare il comportamento dei propri fornitori, ma questa difficoltà è stata finora esacerbata dalla mancanza di un quadro specifico che consenta di valutare la qualità e l’affidabilità delle filiere.
Le prassi aziendali lassiste si insinuano facilmente nelle catene complesse e decentralizzate, soprattutto se le aziende puntano alla riduzione dei costi. Abbiamo pertanto bisogno di una legge che implementi i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani per rafforzare la protezione che la Germania offre a persone e ambiente. La tracciabilità indubbiamente importante, ma in alcuni settori può rivelarsi complicata. La pubblicazione degli elenchi dei fornitori di primo livello aumenterà la trasparenza.
Come analizzate i rischi esg nelle filiere produttive?
Queste valutazioni sono parte integrante della nostra analisi bottom-up. Si tratta di un’analisi complessa e che non si basa su un processo standardizzato, e implica un dialogo approfondito con ciascuna società e i relativi fornitori.
La valutazione dei rischi delle catene di fornitura è facilitata da società di ispezione come Bureau Veritas, Intertek ed SGS. Fino a pochi anni fa, i certificati ESG rilasciati dalle autorità di normazione ISO (International Organization for Standardization) e BSI (British Standards Institution) si concentravano principalmente sul criterio ambientale (E), il più facile da misurare e accreditare, mentre scarsa attenzione era dedicata agli aspetti sociali (S). Oggi le società di ispezione svolgono funzioni di controllo e certificazione delle filiere produttive e dei processi di gestione, migliorando il profilo ESG dei loro clienti e aumentando la trasparenza. Ne beneficiano tutti, l’investitore, il mercato e l’autorità di regolamentazione, oltre naturalmente all’ambiente e alle vittime di violazioni dei diritti umani.
In che modo le aziende possono tenere conto dei criteri esg dei loro fornitori e come possiamo definire tali norme e assicurare che vengano rispettate?
Noi di Columbia Threadneedle Investments misuriamo il rischio legato alla filiera produttiva nell’ambito della valutazione delle pratiche ESG delle nostre società. Tale valutazione costituisce una componente fondamentale del nostro sistema interno di rating di investimento responsabile basato sulla rilevanza. Siamo consapevoli che per alcuni rivenditori, soprattutto quelli più piccoli, questo esercizio risulterà più impegnativo e intendiamo interagire con le aziende che dimostrano una gestione carente o un rischio particolare.
Le società devono rendersi conto che gli investitori hanno bisogno di informazioni di alta qualità per comprendere la gestione dei rischi e l’effettiva attuazione delle politiche ESG. Dobbiamo sapere come monitorano le relazioni tra i fornitori e i relativi sub-fornitori, e le misure correttive previste in caso di problemi.
Esiste un rischio settoriale sistemico e i singoli investitori dispongono di risorse limitate, ragion per cui il dialogo e la collaborazione sono fondamentali. Nel Regno Unito abbiamo promosso un engagement collaborativo in materia. Come gli investitori, anche le società devono collaborare. Le incoraggiamo a cooperare tra loro e con gli altri stakeholder per affrontare insieme le sfide.
Come è stata l’esperienza dei paesi che hanno già adottato legislazioni analoghe, ad esempio la francia o i paesi bassi? Qual è stato l’impatto sulle società e sulle rispettive performance?
La nostra esperienza è positiva. La maggiore trasparenza aiuta gli investitori a prendere decisioni più consapevoli. Le società caratterizzate da una filiera produttiva sostenibile ed equa sono meno esposte al rischio di tensioni lungo le catene di produzione, il che può tradursi in migliori performance a lungo termine.
Solo il Regno Unito presenta una legislazione più rigida della Germania. La legge britannica sulla schiavitù moderna (Modern Slavery Act) è un importante tema di discussione, ma la sua applicazione è cruciale: se da un punto di vista tecnico la legge può contare su un’adesione universale, solo i controlli obbligatori condotti da terzi la rendono pienamente effettiva. È ciò che è accaduto nell’industria dei giocattoli statunitense nel 2007 e dopo il Dieselgate. Vi sono quindi buone probabilità che l’Unione europea e altre autorità regolamentari prendano sul serio l’applicazione della legislazione, anche se solo tramite l’intermediazione delle società di ispezione vista la carenza di ispettori pubblici.
È legittimo temere che questa legislazione possa avere un impatto sulla competitività?
Assolutamente no, anzi, è piuttosto il contrario. Le aziende con filiere produttive solide e affidabili presentano un vantaggio competitivo: sono più competitive nei loro rispettivi mercati. Si tratta di un fattore di differenziazione sempre più significativo in tutti i settori.
Quale ruolo hanno i profili esg delle società, e quelli dei loro fornitori, nella vostra gestione del rischio? Sono disponibili dati concreti al riguardo?
Prima di ogni investimento esaminiamo attentamente il profilo ESG di ciascuna società. Dedichiamo notevoli risorse alla valutazione delle pratiche ESG interne, delle politiche ambientali e di tutti gli elementi che sono sotto il controllo del management. Seguiamo attentamente le controversie, in quanto siamo interessati a capire come i dirigenti reagiscono sotto pressione; la risposta a una controversia è spesso più importante della controversia stessa. Ci interessiamo alle iniziative intraprese dal management al fine di attenuare questi episodi ed evitare che si ripetano. Questa analisi ci consente di farci un’idea sulla cultura del management e rappresenta un prezioso strumento di gestione del rischio.
Come se la cavano le aziende più piccole al riguardo?
Per le società più piccole mantenere rigorosamente controllata la propria catena produttiva risulta più impegnativo. Interagiamo con queste aziende e promuoviamo la collaborazione per assicurarci che dispongano di procedure tese a minimizzare i rischi legati alle filiere di fornitura.
Con la graduale diffusione delle leggi sulla due diligence come quella tedesca, le società dovranno dimostrarsi proattive nella valutazione dei rischi delle loro catene di approvvigionamento e migliorare la tracciabilità. La pandemia di Covid-19 ha sottolineato la necessità di una maggiore comprensione delle filiere produttive e della relativa esposizione al rischio.