Riassunto del video
- I dati sull’occupazione statunitense della scorsa settimana hanno riacceso le speranze di un taglio dei tassi.
- In particolare, l’indice ISM sui servizi è stato debole nella componente occupazionale.
- Il mercato USA sconta adesso due tagli dei tassi entro la fine dell’anno.
- In uscita questa settimana, i dati sull’inflazione potrebbero rappresentare un ostacolo.
- Nel Regno Unito, la Banca d’Inghilterra si riunisce a breve e si prevede che ridurrà le previsioni sull’inflazione.
- In Europa, la BCE ha di fatto promesso un taglio dei tassi a giugno.
Nel corso dell’anno, il pessimismo sulle prospettive di taglio dei tassi di interesse negli Stati Uniti è cresciuto in maniera costante, fino a venerdì scorso. Notevolmente, l’uscita dei dati sull’occupazione negli Stati Uniti ha mostrato un mercato del lavoro debole su tutti i fronti. In maniera significativa, anche l’indice ISM sui servizi, monitorato attentamente, ha mostrato debolezza, soprattutto per quanto riguarda la componente occupazionale.
La forte crescita economica guidata dai consumatori aveva attenuato la necessità di tagliare i tassi, soprattutto alla luce dell’andamento inflazionistico. In seguito ai dati deboli usciti venerdì scorso, il mercato ha raddoppiato il numero dei tagli dei tassi previsti entro la fine dell’anno, allontanandosi comunque dai 6 tagli ipotizzati qualche mese fa.
Riteniamo che ci siano valide ragioni per un rallentamento dell’economia negli Stati Uniti: i consumatori hanno speso più del loro reddito e il tasso di risparmio è sceso ad appena il 3,2%, ben al di sotto del “consueto” 5%. Se il reddito cresce più lentamente, i consumatori si trovano costretti a ridimensionare le proprie spese. Tuttavia, è importante sottolineare che non stiamo parlando di recessione, ma solo di un rallentamento. Solo nel momento in cui questo si tradurrà in un rallentamento inflazionistico, la Fed inizierà il taglio dei tassi, continuando poi con un processo costante di allentamento.
Il primo grande ostacolo è rappresentato dai dati sull’inflazione in uscita questa settimana. La robustezza degli affitti e il peso eccessivamente elevato che vi è attribuito nell’IPC statunitense (circa il 36% dell’indice) costituiscono un grosso ostacolo per il processo di disinflazione, ma la debolezza in altre aree potrebbe comunque fornire un dato accettabile.
Nel corso della settimana è il turno della riunione della Banca di Inghilterra, che probabilmente non taglierà i tassi ma ridurrà le previsioni sull’inflazione, presentando dunque una prospettiva ottimistica. Prevediamo che un altro membro si unisca a Swati Dhingra, votando a favore di un taglio. L’elemento di esitazione maggiore è rappresentato dalla prospettiva che l’aumento del 10% del salario minimo, entrato in vigore il mese scorso, porti a una crescita dell’inflazione salariale. In quest’ottica, il tasso di interesse a tre mesi subirà un aumento, ma dovrebbe costituire un caso isolato.
Per quanto riguarda la Bce, quest’ultima ha di fatto promesso un taglio a giugno e non sembra che vi siano esitazioni. Nonostante la prospettiva di alcune oscillazioni temporanee della crescita salariale, la tendenza di fondo rimane decisamente al ribasso.
Il pessimismo sui tagli dei tassi d’interesse è probabilmente giunto al culmine e possiamo sperare in un contesto più favorevole per i mercati finanziari grazie al calo dell’inflazione, alla ripresa dell’atterraggio morbido degli Stati Uniti e alla ripresa dell’economia mondiale.