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Insights

Prospettive multi-manager: Cinque grandi interrogativi per il 2025

Anthony Willis
Anthony Willis
Senior Economist

Se non è troppo tardi, Buon Anno a tutti. Fortunatamente il periodo natalizio è stato relativamente tranquillo, per cui questa settimana abbiamo l'occasione di guardare avanti piuttosto che ripercorrere gli ultimi eventi.

Ciò premesso, questi ultimi giorni ci hanno lasciato presagire alcuni dei temi chiave del nuovo anno, non da ultimo l’arditezza delle uscite del presidente entrante Donald Trump – qualcuno aveva scommesso sull’annessione del Canada e sull’acquisto della Groenlandia da parte degli Stati Uniti? Inoltre, abbiamo assistito a un aumento dei rendimenti obbligazionari, in quanto gli investitori cercano di capire quali siano le prospettive per l’inflazione e la crescita in un contesto caratterizzato da livelli molto elevati di debito pubblico, in cui non sarà affatto facile per i governi trovare il giusto equilibrio tra tassazione e decisioni di spesa.

Il 2025 sembra un anno caratterizzato da una gamma estremamente ampia di possibili scenari per l’economia, la politica e i mercati finanziari. Dalle anticipazioni sul 2025 elaborate da tutti gli altri sembra emergere un allarmante consenso sull’anno a venire: un anno discreto per l’economia statunitense ma debole per l’Europa e il Regno Unito e, in assenza di stimoli significativi, un anno di delusioni
anche per la Cina. Il problema è che quando tutti sono d’accordo in linea di massima, di solito succede qualcos’altro, e per il 2025 è abbastanza facile tratteggiare scenari sia rialzisti che ribassisti.

2025 – Lo scenario rialzista

  • Il presidente Trump ha effetti positivi sui mercati – “can che abbaia non morde”: la minaccia di imporre dazi è più uno strumento di negoziazione che una vera e propria misura di legge.
  • Notizie politiche positive dall’Europa – forse un po’ di pragmatismo da parte della Germania sul debito pubblico.
  • Gli stimoli varati dalla Cina fanno ripartire l’economia.
  • I mercati azionari preservano il loro slancio positivo senza raggiungere valutazioni estreme, la crescita degli utili prosegue e diventa più generalizzata.
  • In Ucraina si ristabilisce una qualche forma di pace.
  • Le banche centrali riescono a ridurre ulteriormente i tassi d’interesse via via che i timori inflazionistici si dissolvono.

2025 – Lo scenario ribassista

  • Una guerra commerciale innescata dai dazi di Trump.
  • Un contesto economico di stagflazione.
  • Incapacità della Cina di uscire dalla stagnazione.
  • Continuazione dello stallo politico in Europa.
  • Le banche centrali non riescono a ridurre i tassi d’interesse a causa dell’inflazione ostinata, dando luogo a un contesto significativamente più complesso per i mercati finanziari.

È poco probabile che l’anno a venire ricada perfettamente in uno o nell’altro scenario: il bilancio del 2025 sarà probabilmente una via di mezzo tra questi due contesti, con qualche sorpresa lungo il percorso. A seguire ci concentreremo su alcuni punti chiave e sul loro possibile impatto.

Siamo in grado di prevedere cosa aspettarci da Trump 2.0?

Mancano meno di due settimane all’insediamento del presidente Trump, e da novembre ognuno ha detto la propria su cosa aspettarci da Trump 2.0. Sappiamo dal suo precedente mandato che il presidente Trump può cambiare l’umore del mercato con un singolo post sui social media, ma è vero anche l’inverso: il mercato azionario può influenzare un presidente che nel suo primo mandato ha visto nella performance di mercato un barometro del suo successo. Un’altra lezione da trarre dal primo mandato Trump è che i mercati a volte reagiscono in maniera eccessiva ai commenti del tycoon e che ci vuole decisamente del tempo per separare il rumore dalle misure legislative concrete. La differenza è che nel 2016 Trump era nuovo al suo incarico, mente questa volta potrà scendere in campo forte della sua esperienza, e si spera che proprio in virtù di ciò alcuni dei grandi interrogativi sulle misure che intende varare riceveranno quanto prima una risposta. Rispondere ai grandi interrogativi sui dazi è molto difficile: semplicemente non sappiamo se saranno del 10% o del 100% o dove verranno imposti, ma è chiaro che Trump trova i dazi un utile strumento di negoziazione oltre che un modo per attirare gli altri leader mondiali al tavolo delle trattative. Trump ama negoziare e raggiungere un’intesa, quindi possiamo aspettarci, come di fatto è accaduto l’ultima volta, molto clamore e spettacolo, che alla fine si concluderanno in compromessi e accordi.

È molto facile argomentare in positivo o in negativo sui potenziali effetti di una presidenza Trump, ma ciò che sappiamo è che la vittoria netta al Congresso da parte del Partito Repubblicano, più una Corte Suprema di orientamento repubblicano, consegnano di fatto al governo un ampio margine di manovra per attuare le sue politiche. L’incertezza legislativa è elevata, ma sappiamo che Trump è intenzionato a tagliare le tasse, a spendere di più e a usare i dazi come arma politica ed economica.

L’era presidenziale di Biden si chiude con i consumatori statunitensi in buona salute grazie alla solida crescita salariale e al calo dell’inflazione, anche se il ricordo dell’inflazione degli ultimi anni è certamente costato caro a Kamala Harris e ai Democratici alle ultime elezioni. Ma le famiglie statunitensi, aiutate dalla solidità del mercato del lavoro, dai sussidi anti-Covid che hanno attutito lo shock inflazionistico, dall’impatto positivo dell’inflazione dei prezzi delle case e dall’effetto ricchezza di due rialzi consecutivi del 20% per l’S&P 500, versano in condizioni più che discrete.

L'Europa potrà avere un attimo di tregua?

L’anno scorso abbiamo visto le azioni europee mettere a segno solidi rendimenti pur in assenza di direzione e leadership politica e malgrado una crescita economica anemica, il continuo problema dei prezzi dell’energia dovuto alla guerra in Ucraina, le crescenti preoccupazioni per i livelli di debito pubblico e la persistente debolezza del settore manifatturiero. Visto il possibile avvicinamento a un punto di svolta sul conflitto in Ucraina, è possibile dipingere un quadro migliore per l’Europa? Sembra di sì. Se non altro, c’è la possibilità di superare aspettative estremamente basse.

La Francia ha un nuovo governo che sembra poggiare su basi leggermente più stabili rispetto a quello del breve mandato di Michel Barnier, mentre la Germania si avvia verso le elezioni del mese prossimo, che vedranno probabilmente tutti i principali partiti impegnati in una campagna per allentare le briglie sul debito pubblico che hanno limitato oltremisura le finanze pubbliche tedesche dalla crisi finanziaria. Un po’ più di stabilità politica in Francia e Germania sarà un toccasana in un momento storico che vede l’Europa alla prese con le sfide poste da un’America a guida Trump, ma il passato ci insegna che l’Europa riesce ad essere molto più pragmatica e decisa sul fronte della formulazione delle politiche proprio quando è chiamata a superare questo tipo di ostacoli. Possiamo inoltre contare sul supporto della Banca centrale europea sotto forma di diversi tagli dei tassi d’interesse in futuro e del fondo per la ripresa dalla pandemia, che rimane per gran parte inutilizzato. Inoltre, l’Europa potrebbe beneficiare degli effetti positivi sulla domanda degli eventuali stimoli varati in Cina. Va detto anche che molti dei paesi europei che hanno sofferto di più dal punto di vista economico e politico durante la crisi del debito sovrano di un decennio fa, come Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda, stanno ora registrando una crescita robusta e versano in condizioni fiscali decisamente migliori rispetto ad altri paesi dell’area.

La Cina riuscirà a trasformare le sfide in opportunità?

In Cina continuano a soffiare forti venti contrari, e la fonte di tutti i problemi sembra essere il mercato immobiliare, con i suoi 79 milioni di proprietà sfitte o invendute. La fiducia dei consumatori è molto bassa e il saggio di risparmio è estremamente elevato e ben al di sopra dei livelli pre-pandemici. Inoltre, la Cina è alle prese con ostacoli di lungo termine, costituiti dal calo demografico e dalla diminuzione della popolazione in età lavorativa. Il presidente Xi ha ripetutamente accennato al fatto che il governo intende potenziare gli stimoli economici, e a settembre tali dichiarazioni hanno fatto salire le azioni cinesi di oltre il 30% in soli sette giorni. Tuttavia, questa impennata dei mercati si è affievolita a causa del timore che si tratterà non di un vero e proprio “bazooka” ma di misure perlopiù incrementali.

Come su altri temi, il ruolo del presidente Trump sarà decisivo, in quanto l’imposizione di dazi elevati alla Cina potrebbe di fatto aumentare la probabilità che quest’ultima introduca misure ben più imponenti onde scongiurare il rischio per Pechino di essere vista come “perdente” nella guerra commerciale.

Il Regno Unito può ritrovare il suo carisma economico?

Nel Regno Unito l’atmosfera è nettamente cambiata negli ultimi mesi: Keir Starmer non è partito col piede giusto e il nuovo governo ha avuto un primo semestre impegnativo. Il governo laburista è salito al potere riconoscendo le sfide fiscali che lo attendevano, ma puntando anche a una crescita economica del 2,5% annuo, trainata dall’aumento della spesa pubblica e dalle riforme sul lato dell’offerta, in particolare nel settore dell’edilizia. Tuttavia, la crescita economica si è fermata, la fiducia delle imprese è debole e quella dei consumatori – che si stanno riprendendo da un periodo in cui l’inflazione ha toccato i massimi trentennali – rimane fragile. L’eredità fiscale del precedente governo limita sempre la capacità dell’esecutivo successivo di cambiare velocemente la narrazione economica, ma la finanziaria di ottobre, che ha introdotto un netto aumento della tassazione sulle imprese, ha inciso negativamente sia sugli investimenti che sui piani di assunzione. Inoltre, la legge di bilancio non è riuscita a convincere l’Office for Budget Responsibility a modificare le proprie aspettative sulla crescita, e dunque la Cancelliera dispone ora di un margine di manovra nettamente ridotto per allentare la politica fiscale.

Sebbene il governo abbia promesso di non ripetere la manovra di ottobre in termini di ulteriori aumenti delle tasse, è probabile che l’inflazione britannica rimanga vischiosa, in quanto le imprese scaricano sui consumatori le conseguenze degli aumenti dei contributi previdenziali e del salario minimo, il che a sua volta significa che il potenziale impatto positivo dei tagli dei tassi d’interesse sarà limitato, poiché la Bank of England potrebbe ritrovarsi con un esiguo margine d’azione per ridurre ulteriormente i tassi laddove l’inflazione rimanesse sopra il livello obiettivo.

Come si muoveranno le banche centrali?

Lo shock inflazionistico del 2021-2023 comincia a defluire dai dati, come testimonia l’inflazione in calo e vicina al 2% negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nell’Eurozona. Tuttavia, di recente le cifre sono tornate a salire, poiché gli effetti base delle diminuzioni dei prezzi energetici sono venuti meno e la crescita persistente dei salari e dell’inflazione dei servizi mantiene l’inflazione al di sopra degli obiettivi delle banche centrali.

Inoltre, non dobbiamo dimenticare che il CPI è una misura annuale. Se esaminati a livello dell’indice, i dati mettono a nudo una realtà fatta di prezzi strutturalmente più elevati. Stando ai dati Bloomberg, cinque anni fa l’indice dei prezzi al consumo britannico si trovava a quota 106; a fine novembre 2024 era salito a 135. Guardare all’inflazione da questa prospettiva consente di capire perché i consumatori di molti paesi hanno trovato difficile far fronte a un tale adeguamento in un lasso di tempo così breve. Cionondimeno, il riferimento delle banche centrali è l’inflazione su base annua e, dato il divario positivo (che tuttavia non è un obiettivo) tra tassi d’interesse e inflazione, ci aspettiamo di assistere a ulteriori tagli dei tassi nel corso di quest’anno. Tuttavia, non ci vorrà molto prima che le banche centrali passino a un atteggiamento più “attendista”.

Negli Stati Uniti la crescita rimane solida e l’incertezza sulle politiche che verranno adottate dalla nuova amministrazione Trump elevata – politiche che potrebbero essere in gran parte di stimolo e/o inflazionistiche. Attualmente si prevede che la Federal Reserve taglierà due volte i tassi nel corso dell’anno, ma questa previsione potrebbe cambiare e, quando ciò accadrà, i mercati potrebbero storcere il naso. Nel Regno Unito la vischiosità dell’inflazione potrebbe limitare le future riduzioni dei tassi della Bank of England, ma altri 50 punti base di sforbiciate entro la fine dell’anno sembrano plausibili. Date le minori pressioni inflazionistiche e il contesto economico più debole, è più probabile che l’Eurozona registri un maggior numero di tagli dei tassi nel corso dell’anno.

Un contesto favorevole, ma colmo d'incertezza.

Per riepilogare, il 2025 ha in serbo un ampio ventaglio di possibili scenari. Si tratta di un contesto d’incertezza, ma, con i tassi d’interesse ancora in calo, le aziende in discreta forma e valutazioni che, eccettuati alcuni titoli, non appaiono estreme, c’è spazio per un ulteriore apprezzamento dei mercati. I potenziali colpi di scena sono tuttavia numerosi, e le incognite maggiori riguardano la politica.

Il mondo è avviato lungo un percorso graduale di biforcazione tra Stati Uniti e Cina, in cui l’andamento della globalizzazione si inverte e i trend delle filiere produttive dell’era pre-pandemica vengono velocemente ripensati. I paesi devono pensare a come reagire ai dazi e decidere se negoziare, rispondere a tono o cercare di mitigarne gli effetti attraverso misure di stimolo interne.

Come sempre, le nostre opinioni possono cambiare e lo faranno, e questi commenti prospettici tendono ad avere una scadenza molto ravvicinata – forse ancora di più quest’anno, con l’imminente insediamento del presidente Trump alla Casa Bianca.  Al momento, il nostro posizionamento rimane lievemente ottimistico, ossia manteniamo un sovrappeso sulle azioni e un sottopeso sulla liquidità. Abbiamo un’esposizione neutrale alle obbligazioni, con una preferenza per le emissioni ad alto rendimento e subito dopo per quelle investment grade rispetto al debito pubblico. A livello geografico non abbiamo predilezioni significative per il momento, a parte un sovrappeso sull’azionario statunitense che, nonostante i rendimenti elevati, ci sembra alle prese con minori ostacoli rispetto ad altre regioni.

Fonte: Columbia Threadneedle Investments, dati al 9 gennaio 2025.

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