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Insights

Cina: questa volta non aspettiamoci un ingente pacchetto di stimolo

Paul Smillie
Paul Smillie
Analista del credito senior, Investment Grade

Punti chiave

  • Questo secolo ha già visto due volte la Cina ricorrere a misure di stimolo per uscire da una crisi; ma al momento ci sembra che non ci siano le condizioni per ripetere la manovra una terza volta.
  • Anche se le autorità cinesi stanno lentamente affrontando le conseguenze di quei precedenti forti stimoli, crediamo che il paese non si sia ancora reso esattamente conto della portata del problema – circa la metà dei crediti in sofferenza dalla crisi finanziaria globale non è ancora stata risanata.
  • Sebbene tutta l’attività di prestito sia in valuta locale e il conto capitale sia chiuso, il che riduce le probabilità di una classica crisi del debito del mercato emergente, se i depositanti cinesi iniziassero a perdere fiducia nella stabilità finanziaria del paese i guai si farebbero seri.

Visto che i crediti in sofferenza dovuti alla crisi finanziaria globale si trovano ancora nei bilanci, crediamo che non ci siano le condizioni per un terzo pacchetto di stimolo cinese.

Le dimensioni dei dazi imposti sulle importazioni cinesi negli Stati Uniti cambiano da una settimana all’altra. Nonostante la sospensione di 90 giorni accordata di recente, l’effetto potenziale dei dazi sulla crescita economica cinese potrebbe essere notevole1. Tutto questo in un momento in cui la Cina ha urgente bisogno di incrementare la domanda e i consumi domestici2. Intanto in Europa, la Germania ha sparigliato le carte con l’annuncio di stimoli fiscali senza precedenti per contrastare l’impatto dei dazi sulle sue esportazioni. La Cina ha una certa esperienza nel ricorrere a misure di stimolo per uscire dalle difficoltà; ricordiamo gli enormi pacchetti del 2008-09 e del 2015-16. Quest’anno la Cina ha moderatamente allentato la sua politica, ma spingerà ancora sul pedale degli stimoli? Non contiamoci. Se il motore tedesco è fresco di manutenzione e pronto a girare, quello cinese è completamente intasato e necessita di una radicale revisione.

Qual è esattamente il problema cinese?

Dal primo grande stimolo nel 2008, il settore bancario cinese è cresciuto di 50 mila miliardi di dollari USA, passando da circa 2 volte il PIL nominale a circa 3,2 volte3. Oggi la Cina ha di gran lunga il più grande settore bancario al mondo (figura 1). Ciò è dovuto alla crescita delle banche ombra del paese, scarsamente regolamentate e con dimensioni da piccole a medie. Quando il credito aumenta molto più velocemente del PIL nominale, nel sistema si creano sacche di prestiti in sofferenza. Spesso, come attualmente nel caso cinese, i problemi si palesano nel prestito immobiliare. Una simile crescita del settore bancario ha sempre avuto esiti disastrosi4. Una stima plausibile delle perdite latenti nel sistema cinese si aggira attorno ai 4 mila miliardi di dollari USA5. Per intenderci, è l’equivalente della somma dei prestiti di Bank of America, Citigroup, JP Morgan e Wells Fargo6.

Figura 1: La Cina avanza - Dimensioni del settore bancario (migliaia di miliardi di dollari USA)
size of banking sector

Fonte: Dati CEIC / Federal Reserve statunitense / BCE / Autonomous, a gennaio 2025.

Queste sofferenze nei prestiti non sono nuove; semplicemente la Cina non ha ancora fatto i conti con le conseguenze dei precedenti due periodi di euforia creditizia. Stimiamo che nei bilanci delle banche siano ancora presenti circa la metà dei crediti incagliati emessi dopo la crisi finanziaria globale. Il sistema non li ha risanati. Se tutte queste perdite venissero riconosciute oggi, le banche di piccole e medie dimensioni finirebbero in stato di insolvenza (almeno secondo gli standard normativi occidentali).

Quando le banche vengono risanate, le perdite devono essere riconosciute e si deve raccogliere nuovo capitale. Prendiamo ad esempio il Giappone negli anni Novanta e gli Stati Uniti negli anni 2000: entrambi hanno dovuto contabilizzare oneri di svalutazione per circa il 10% dei prestiti nel corso del tempo7. Stimiamo che la Cina abbia un simile importo ancora da gestire. Dopo la crisi finanziaria globale, gli Stati Uniti hanno affrontato rapidamente il problema sistemando le cose nell’arco del successivo triennio. In Giappone ci sono voluti 15 anni; le autorità hanno sprecato i primi sette anni sperando di risolvere la questione con il ritorno della crescita.

La Cina sta seguendo l’esempio del Giappone. Il legislatore ha rimosso il requisito che impone di creare accantonamenti per perdite sui prestiti più rischiosi fino alla fine del 20278. In pratica, i crediti potrebbero anche essere in sofferenza ma tutti sono invitati a fingere che non sia così. Se le banche cinesi iniziano a creare accantonamenti nel 2028, il sistema potrebbe essere risanato nel 2035.

Perché la Cina non è intervenuta prima per risolvere il problema?

Innanzitutto bisogna ammettere che le autorità cinesi hanno già fatto un buon lavoro. Nel corso degli ultimi cinque anni il problema è stato lentamente affrontato, con lo storno di circa l’1% di prestiti ogni anno. A ciò si aggiunge che una parte del capitale pubblico è stato recentemente destinato alle grandi banche statali9. Tanto è bastato per scongiurare il peggio, ma non per liberarsi dei crediti deteriorati. Il sistema necessita di una forte ricapitalizzazione, che non può avvenire dietro le quinte. Occorre che le autorità cinesi ammettano l’esistenza di un problema – una cosa che in politica si cerca di evitare a tutti i costi10.

Le banche possono riconoscere in misura maggiore le perdite su crediti?

Sì e no. Se la Cina vuole raggiungere i suoi obiettivi di crescita, il credito deve continuare a espandersi. Se gli utili venissero fatti defluire verso il riconoscimento dei debiti deteriorati e non verso la creazione di capitale per sostenere la crescita dei prestiti, la crescita del credito rallenterebbe drasticamente, dal 10% a meno del 5%11. Ma le autorità non possono lasciare che questo accada.

Il governo è in grado di prendere fondi a prestito senza ricorrere alle banche?

Non è così semplice in Cina. Lo stimolo fiscale tedesco verrà finanziato da fondi presi in prestito sui mercati dei capitali internazionali. È vero che il settore bancario nazionale acquisterà parte del debito ma è anche vero che ci si rivolgerà anche a investitori di tutto il mondo. Il tasso d’interesse al quale la Germania può assumere prestiti sarà determinato dal mercato.

In Cina, il governo assume prestiti quasi esclusivamente dal settore bancario, che è prevalentemente nelle mani dello Stato. Questo permette al governo di fissare i costi del proprio debito. Significa anche che mentre il governo adotta stimoli fiscali, il settore bancario si gonfia. E in più, il prestito di solito non viene erogato dalle casse del governo centrale ma da governi locali (enti come veicoli di finanziamento governativi locali, dei quali si sa poco o nulla). Questo prestito tende a non essere rimborsato, il che in ultima analisi significa che avremo banche ancora più grandi ma con più debiti in sofferenza.

Premere nuovamente sul pedale del credito potrebbe certamente aggiungere qualche punto percentuale di crescita del PIL a breve termine ma creerebbe un problema più grande per le banche nel lungo periodo. Senza prima aggiustare il motore, attraverso una ricapitalizzazione del settore, gli stimoli finirebbero solo per rendere il sistema finanziario ancora più instabile.

Questo è davvero un problema?

Tutto quanto detto finora rappresenterebbe certamente un grande problema per l’Occidente. I finanziatori si dileguerebbero per timore di investire in un banca insolvente. Per la crescita del PIL sarebbe terribile, come lo è stato in molte occasioni in passato (ad esempio in Irlanda e Spagna nei primi anni duemila)12. Ma la domanda da porsi è: questo è davvero un problema in Cina? Ci sono buone ragioni per rispondere negativamente: tutti i prestiti sono in valuta locale e il conto capitale è chiuso, pertanto non c’è il rischio di una classica crisi del mercato emergente in cui il finanziamento in valuta estera viene meno, le banche crollano e si innesca una crisi valutaria (è quanto accadde nella crisi asiatica). Inoltre, il settore bancario è statale e se la Cina riconoscesse tutte le perdite in un’unica volta, il conto totale per il debito sovrano ammonterebbe a circa il 20% del PIL13. Probabilmente la Cina può permetterselo.

Nulla di cui preoccuparsi quindi?

Non proprio. Tutto dipende da quanto è grande il settore bancario, ma questa volta mettiamolo a confronto con le riserve valutarie. Nell’ultimo decennio le riserve valutarie cinesi sono rimaste stabili attorno a 3000 – 3500 miliardi di dollari USA mentre il settore bancario ha raddoppiato le sue dimensioni a 60 mila miliardi di dollari USA. Ciò significa che nel sistema bancario cinese esistono passività (o finanziamenti) per 60 mila miliardi di dollari USA.

Se iniziassero a perdere fiducia nella stabilità finanziaria del paese, i depositanti cinesi potrebbero cercare di portare i propri soldi all’estero, investendoli in dollari USA. Basterebbe anche solo un piccolo spostamento dei 60 mila miliardi di dollari di passività del settore bancario per creare un grosso buco nei 3 mila miliardi di dollari di riserve valutarie14. A sua volta, il calo delle riserve potrebbe mettere in seria difficoltà la valuta cinese15.

Notoriamente la Cina impedisce che il denaro abbandoni il sistema locale attraverso un rigoroso controllo dei capitali, ma non è impossibile, specialmente per le imprese che operano nel commercio internazionale, portare denaro all’estero. Crediamo che alla luce di questo rischio le autorità cinesi ci penseranno due volte prima di avviare misure di stimolo. Pensiamo invece che il governo si concentrerà su modi per incoraggiare i depositanti locali a incanalare questi fondi nei consumi.

Conclusioni

La Cina potrebbe essere tentata di emulare la Germania e di mettere mano al bazooka fiscale, ma questo potrebbe essere un azzardo se si considerano le difficoltà del suo sistema bancario. Non siamo catastrofisti sulla Cina. Crediamo che le autorità cinesi proseguiranno con il loro approccio pragmatico concentrato sulla crescita dei consumi domestici nel lungo periodo. Questo si traduce in una politica di stimolo mirato e graduale. Ma se così non fosse, attenzione alla valuta.

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1 Si veda l’indice PMI manifatturiero cinese di aprile. Bloomberg.

2 China Central Economic Work Conference (CEWC), dicembre 2024.

3 Working Paper del FMI, “Credit Booms – Is China Different”, Sally Chen e Joong Shik Kang, gennaio 2018, e stime di Autonomous / Columbia Threadneedle Investments / CEIC.

4 Gli esempi sono numerosi: Svezia negli anni Ottanta, Giappone negli anni Novanta e Spagna, Irlanda e Stati Uniti negli anni 2000. Si veda anche: Working Paper del FMI “Systemic Banking Crises Revisited”, Luc Laeven e Fabian Valencia, settembre 2018.

5 Working Paper del FMI: “Credit Booms – Is China Different”, Sally Chen e Joong Shik Kang, gennaio 2018, NBER “Growth in a time of debt” Reinhart e Rogoff, 2010, stime di Columbia Threadneedle e Autonomous sulle banche cinesi, settembre 2024.

6 Stime di Columbia Threadneedle sulla base di relazioni societarie, 2025.

7 Stime di Columbia Threadneedle e dati di Federal Reserve statunitense / Bank of Japan / Autonomous, aprile 2025.

8 China Banking and Insurance Regulatory Commission, settembre 2024. Riguarda prestiti a immobili commerciali e piccole e medie imprese.

9 Analisi di Columbia Threadneedle Investments di relazioni societarie / Emerging Advisors Group / Autonomous, aprile 2025.

10 CICS, China’s Slow-Motion Financial Crisis Is Unfolding as Expected, settembre 2022.

11 Analisi di Columbia Threadneedle Investments di relazioni societarie / Emerging Advisors Group / Autonomous, aprile 2025.

12 NBER, “The aftermath of financial crises”, Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff, 2009.

13 Stime di Columbia Threadneedle Investments e Autonomous Research, aprile 2025.

14 BCE, The anatomy of a peg: lessons from China’s parallel currencies, di Bahaj e Reis, ottobre 2023 / Emerging Advisors Group / BIS, The size of foreign exchange reserves di Arslan e Cantu, dicembre 2019.

15 Federal Reserve statunitense, Abandoning a currency peg di Clement e Polansky, ottobre 2016 / FMI, “China stumbles but is unlikely to fall”, E Prasad, dicembre 2023.

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